NUNZIO

English | Foto | Rassegna Stampa

di > spiro scimone
con > francesco sframeli > spiro scimone
regia> carlo cecchi
scena e costumi > sergio tramonti
disegno luci > domenico maggiotti
regista assistente > valerio binasco

foto di scena > andrea coclite
assistente scene e costumi > chiara lambiase
direttore tecnico > santo pinizzotto
amministrazione > giovanni scimone
produzione > compagnia scimone sframeli

Premio  istituto dramma italiano 1994  “autori nuovi”

Medaglia d’oro istituto dramma italiano 1995  per la drammaturgia

Due solitudini che convivono, due uomini ai margini della vita. Si ritrovano chiusi nello spazio di una cucina, attorno al tavolo che domina al centro di quell’unico ambiente che è casa, rifugio, tana dove entrambi si nascondono: a sé, al mondo. Entrambi incapaci di decidere del proprio destino, l’uno sempre in giro, per misteriosi incarichi, forse un killer, costretto a ubbidire agli ordini di un invisibile mandante, l’altro ad affidarsi alle pasticche e al lumicino acceso davanti all’immagine del Sacro Cuore, nel rifiuto di ammettere la malattia che lo sta uccidendo.
“NUNZIO” è un atto unico scritto in lingua messinese, costruito su un dialogo serrato, fatto soprattutto di domande e risposte ribattute, ossessivo nelle sue ripetizioni. Giacché l’ossessione circolare è la sua misura, è lo specchio fedele di una situazione senza uscite. O meglio: da cui non si vuole uscire, perché quel che s’intravede al di là è solo un buco nero senza ritorno.
L’idea della morte, mai nominata, è l’ideale punto d’incontro delle due solitudini dei protagonisti. Quella che Pino dà per mestiere. Quella che Nunzio riceve poco per volta, ucciso dal veleno della fabbrica, dalla polvere respirata sul luogo di lavoro, contro cui poco valgono le pillole generosamente offerte dal padrone. (C’è poco da fare, la morte non si condivide, né la propria né quella dell’altro). Alla morte si possono opporre soltanto i piccoli rituali della quotidianità, le cose da mangiare preparate con le proprie mani, una tazzina di caffè con la sigaretta. E quei discorsi scontrosi, quei più lunghi silenzi così profondamente incisi nel carattere dei siciliani. E i gesti d’affetto rudi come il regalo di una giacca che può anche produrre un momento di commozione.
Non c’è però rischio di patetismi, in “Nunzio”. Anzi, la chiave privilegiata è piuttosto una comicità agra e svagata, costruita sui corpi degli interpreti, clown privati di contesto e tesi verso un’apparente immobilità, in realtà una sottile trama di azioni e reazioni che si ricreano sera per sera. E’ in quei corpi sempre consapevoli di esistere su una scena, nell’intimità della loro lingua, nella complicità dei loro gesti, che leggiamo una disperata volontà di resistenza umana.

< Nunzio, il testo di Spiro Scimone, mi ha prima di tutto interessato, perché è stato scritto, in siciliano, da un giovane attore che lo avrebbe recitato con un altro giovane attore con il quale da anni lavora.  E’ un testo che nasce da dentro l’esperienza teatrale che due giovani attori da anni condividono.

Ciò era per me di grande interesse, perché forse si trattava di una cosa che aveva una sua reale necessità.

Il lavoro che, con Valerio Binasco, mio assistente per questa regia, stiamo facendo con Spiro Scimone e Francesco Sframeli, mi ha confermato che si tratta di qualcosa di molto serio: il teatro è per loro fondamentale. C’è un conflitto dentro il teatro di “Nunzio” fra un contenuto veristico ottocentesco, aggiornato anche secondo clichés cinematografico-televisivi, e l’intermittente esperienza della sua impossibilità; ossia fra la pretesa del “come se” della convenzione realistico-naturalistica e la coscienza, se pur baluginante, della sua ormai sclerotizzata alienazione. Questo conflitto, che fa capolino qua e là nel testo, mi è sembrata la cosa più interessante e più produttiva da affrontare e approfondire. E poiché esso tocca i temi più problematici della recitazione, come per esempio il rapporto fra l’identificazione e il suo opposto, il lavoro con gli attori durante le prove, è la regia.

Questo spettacolo viene rappresentato nell’ambito del Festival di Taormina che celebra quest’anno Eduardo De Filippo.

Eduardo si occupò intensamente, negli ultimi anni della sua vita, della nuova drammaturgia italiana. E alla sua memoria che dedichiamo questo spettacolo, e alla suprema lezione che è il suo teatro >.

Carlo Cecchi